SUL "PALAZZACCIO"
Guglielmo Calderini
Vince il concorso per il Palazzaccio, come è chiamato a Roma per la funzione tribunalizia, e per quanto vi accadde durante la sua costruzione, Guglielmo Calderini: perugino (1837 - 1916), autore pure del Quadriportico nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Realizza un immenso rettangolo di 170 x 155 metri, 27 mila quadrati, tutto rivestito in marmo, pur se in cemento armato, e troppo facondo. Per Lionello Venturi, «massa di travertino in preda al tetano». La decorazione, francamente, deborda. E da subito, si vede l'instabilità del terreno: l'autore deve mutare il progetto rinunciando al terzo piano. All'entrata, otto giureconsulti seduti, o in piedi: nomi famosi, di cui molti però perduti alla memoria; quanti ricordano chi erano Giovanni Battista De Luca o Erennio Modestino? In cima, una Quadriga bronzea, di Ettore Ximenes; l'Aula Massima, affrescata da Cesare Maccari, che non la finisce (lo fa il suo allievo Paride Pascucci), per una paralisi nel 1909.
Insomma, un edificio tanto bruttarello e sfortunato, che presto si diffonde una leggenda metropolitana: sconfortato, l'autore vi si sarebbe ucciso precipitandosi nel Tevere. Falso: pur suicida, Calderini è scomparso nel suo letto. Altre voci, però, colpiscono il palazzaccio, allora il tribunale e oggi sede della Cassazione. Come accade per il Vittoriano, a capo del Governo era Giuseppe Zanardelli; ed il marmo proveniva dalle cave di Botticino, comunello del Bresciano, suo collegio elettorale. Lasciamo stare. Invece, è certo che alla lunghissima costruzione si accompagnano tante malversazioni. Dagli otto milioni preventivati, la spesa arriva a 39.129.845 lire; 21 milioni soltanto all'ultimo dei tre appaltatori: un utile di sei milioni.
I costruttori sono «deferiti all'autorità giudiziaria» e il Parlamento compie un'inchiesta, conclusa nel 1913. Scopre che alcuni deputati erano, in qualche misura, coinvolti: avevano emesso arbitrati, sempre favorevoli alle ditte; uno si era fatto costruire una villetta a via Virginio Orsini. Seguono tre giorni di «angoscioso dibattito», e lo scambio di tante accuse. Lo storico Guido Melis ha documentato in un libro recente, Fare lo Stato per fare gli italiani, il caso di Attilio Brunialti (vicentino, consigliere di Stato, otto volte deputato): suoi quattro arbitrati decisivi: riceve un immobile, pure a via Orsini, dall'impresa Borrelli. Nel 1913, è estromesso dall'organismo. Prima di lui, solo Ruggero Bonghi nel 1893. E dopo, il mese scorso, soltanto Francesco Bellomo che alle studentesse faceva firmare strani contratti. Un edificio, insomma, davvero sfortunato fin dacché era ancora in fasce. In gran parte sgomberato negli Anni 60 perché lesionato, lo si voleva perfino abbattere. E' stato invece restaurato. Però, uno dei primi procedimenti svoltisi lì dentro, riguardava proprio i sospetti per la sua costruzione. E sembra quasi una nemesi. (Articolo di Fabio Isman)
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