Tutti lo conoscono, almeno per averlo intravisto dal treno, quando
arrivano alla stazione Termini; moltissimi, però, lo chiamano con un
nome che non è il suo: il cosiddetto tempio di Minerva Medica
all’Esquilino è, in realtà, la grande sala di un’importante residenza
extraurbana dell’Urbe, forse gli Horti Liciniani, che nel III secolo
erano dell’imperatore Licinio Galieno. E quanto si vede è ciò che
rimane, con una cupola del diametro di 25 metri ed alta 32 (ma oggi,
sono appena 24): la terza più grande in città, dopo quelle del Pantheon e
delle Terme di Caracalla. La sala è decagonale. Ai lati del perimetro,
altrettante nicchie semicircolari: non tutte si sono salvate, forse
ospitavano delle sculture. Probabilmente era un ninfeo: più difficile
che si trattasse di un impianto termale. Un tempo era noto come “Le
Galluzze”, forse per corruzione dai nomi di Gaio e Licio, ma anche come
tempio di Ercole Callaico, altro nome di fantasia. Già Cicerone citava
però il tempio di Minerva Medica tra i più antichi.
Durante gli scavi e i restauri, più volte vi sono state ritrovate delle
statue: nel XVI secolo, quelle di Minerva, Asclepio e Igea con le
figlie; la dea aveva un serpente, il simbolo della medicina, e da qui il
nome del complesso. Ma, il secolo dopo, vi è stata rinvenuta pure una
famosa Atena: subito acquistata dal marchese Vincenzo Giustiniani, e ne
riferiamo a parte la storia, parecchio singolare. Poi, due magistrati
romani (uno che sta lanciando la “mappa”: l’atto con cui iniziavano le
corse dei carri nel circo), con altre sculture, sono invece estratte a
fine Ottocento: esposte ai Musei Capitolini.
L’edificio di via Giolitti è assolutamente maestoso, ed era destinato a
funzioni di rappresentanza; è tra quelli più ritratti ed eternati nei
secoli, da tanti dei maggiori nomi dei dipinti di paesaggio, o
dell’incisione: è sempre stato un “topos” di Roma antica. Davanti
all’entrata, è una delle tre absidi, forse aggiunte successivamente: è
una sorta di nartece; le altre due, sono ai lati. Dentro il tempio, o
meglio ninfeo, rimangono tracce dell’originale decorazione della cupola,
con mosaici a pasta vitrea, poi ricoperti da uno strato d’intonaco;
alle pareti, c’erano lastre di marmo (ne resta la preparazione a malta,
per collocarle).
Pure il pavimento era un tempo ricoperto di mosaici marmorei e in “opus
sectile”: era perfino colorato; però il dettaglio non si apprezza più.
Se il monumento era dei più studiati, nei secoli non è stato, purtroppo,
tra i più tutelati e difesi dall’incuria del tempo: nel 1828, è infatti
crollata la cupola, poi restaurata verso il 1940; e interventi di
consolidamento sono più recenti. Se oggi è sacrificato tra le rotaie
della stazione e i binari del tram, in passato è stato assunto come
archetipo: Maria Rosaria Barbera spiega che «senza di lui, non ci
sarebbe stata la basilica di Santa Sofia ad Istanbul».
È la copia romana, dell’età degli imperatori Antonini (circa fino
all’anno 190), di un originale greco eseguito dalla fine del V
all’inizio del IV secolo; ve ne sono più esemplari in vari musei del
mondo, anche ai Capitolini. Quella del cosiddetto tempio di Minerva
Medica ha lancia e sfinge sull’elmo, ed avambracci, di restauro. Il
marchese Vincenzo Giustiniani la volle per la sua collezione: la più
famosa dell’epoca. Parecchi “grandtouristi” si sono fatti ritrarre, con
dietro la sua testa, per esempio da Pompeo Batoni. Diversamente dal
resto della raccolta, ai tempi di Napoleone non è requisita; nel 1805
quanto resta di quelle proprietà, passa al re di Prussia, Federico
Guglielmo III. La Minerva, no: la compera Luciano Bonaparte e la colloca
dove viveva, a palazzo Nunez-Torlonia, in via Bocca di Leone.
L’acquista Pio VII Chiaramonti: sarà poi nel Braccio nuovo dei musei
Vaticani, voluto da Antonio Canova. Dove, per fortuna e osannatissima,
ancora è. ( Articolo di Fabio Isman)
Belas copas. Visto a olho nu é uma ruina como tantas outras. Afinal reserva em si anos e valores da própria História
RispondiEliminaAs fotos são lindissimas
Um Santo domingo
Interessantissimo post, cara Sivia. Complimenti e buona serata, Angelo.
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